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Il Provocapensieri
sabato, 12 Aprile 2025 / Published in Approfondimento

Lo slang della Generazione Z: guida per genitori e insegnanti nella prevenzione del cyberbullismo

Il linguaggio dei giovani ha sempre rappresentato uno spazio di identità generazionale e di distinguo dalle generazioni precedenti. Oggi, nell’era digitale, questo fenomeno si è ampliato e arricchito di nuove dimensioni, creando un codice comunicativo che può risultare impenetrabile per genitori e insegnanti. Comprendere questo linguaggio non è solo una curiosità linguistica, ma una necessità per riconoscere possibili segnali di bullismo e cyberbullismo.

Perché è importante conoscere lo slang della Gen Z

Il cyberbullismo si nutre di incomprensioni e di spazi comunicativi inaccessibili agli adulti. Quando genitori e insegnanti non comprendono il linguaggio utilizzato dai ragazzi, diventa più difficile:

  • Identificare situazioni di pericolo nelle conversazioni online
  • Riconoscere quando un adolescente sta subendo pressioni o molestie verbali
  • Intervenire tempestivamente per prevenire l’escalation di comportamenti dannosi
  • Costruire un dialogo autentico basato sulla fiducia reciproca

Conoscere il linguaggio dei giovani significa abbattere barriere comunicative cruciali nella prevenzione del bullismo.

L’evoluzione dello slang giovanile: non solo parole nuove

Lo slang della Generazione Z non è semplicemente un insieme di termini bizzarri. È un fenomeno linguistico complesso che riflette:

  1. Globalizzazione linguistica: l’influenza predominante dell’inglese e di altre lingue
  2. Cultura digitale: riferimenti a videogiochi, social media e meme
  3. Velocità comunicativa: la necessità di esprimersi rapidamente in contesti digitali
  4. Appartenenza identitaria: un modo per distinguersi e creare coesione di gruppo

A differenza degli slang giovanili del passato, quello attuale si evolve a velocità straordinaria e ha una diffusione globale quasi istantanea grazie ai social media.

Glossario essenziale: 25 termini che dovreste conoscere

Ecco i termini più utilizzati dalla Gen Z, con una spiegazione del loro significato e del contesto in cui vengono impiegati:

Termini legati alle relazioni sociali

  • Ghostare: interrompere improvvisamente ogni contatto con una persona senza spiegazioni
  • Crush: persona per cui si prova un’infatuazione
  • Friendzonare: relegare qualcuno che prova attrazione romantica al ruolo di “solo amico”
  • Shippare: desiderare che due persone diventino una coppia
  • Amio/Amo: appellativo affettuoso o ironico (versione “corsiva” di “amore”)

Termini valutativi

  • Cringe: imbarazzante, che mette a disagio
  • Mid: mediocre, né buono né cattivo
  • Slay: fare qualcosa in modo impeccabile
  • Basato: autentico, diretto, che non segue l’opinione comune
  • GOAT: acronimo di “Greatest Of All Time” (il migliore di sempre)
  • Pog: esclamazione di entusiasmo (simile a “wow”)

Termini legati a comportamenti online

  • Cap/No cap: bugia/non è una bugia
  • Flexare: ostentare qualcosa per vantarsi
  • Triggerare: provocare una forte reazione emotiva
  • Rizz: carisma, fascino seduttivo
  • Clout: fama, prestigio o influenza sui social media
  • Gatekeeping: non condividere informazioni o risorse

Termini d’azione

  • Hittare: fare centro, colpire figurativamente
  • Boostare: potenziare, dare una spinta
  • Chillare: rilassarsi
  • Rawdoggare: fare qualcosa senza preparazione
  • Glow up: migliorare drasticamente, spesso nell’aspetto

Altri termini rilevanti

  • POV: “Point of View”, usato per descrivere una situazione dal punto di vista di qualcuno
  • Woke: consapevole delle ingiustizie sociali (spesso usato ironicamente)
  • Mood: stato d’animo o atmosfera del momento

Come riconoscere segnali di bullismo nello slang

Il linguaggio può rivelare dinamiche di bullismo non immediatamente evidenti. Ecco alcuni pattern da monitorare:

  1. Esclusione linguistica: quando certi termini vengono utilizzati per isolare o stigmatizzare
  2. Uso aggressivo di termini valutativi: etichettare ripetutamente qualcuno come “cringe” o “mid”
  3. Ghosting sistematico: ignorare deliberatamente i messaggi di qualcuno come forma di esclusione
  4. Flexing tossico: ostentazione aggressiva finalizzata a far sentire inferiori gli altri
  5. Triggering intenzionale: provocare deliberatamente reazioni emotive negative

È importante notare che non è il termine in sé a costituire bullismo, ma il contesto e l’intento con cui viene utilizzato.

Strategie per adulti: come usare questa conoscenza

Per i genitori

  • Evitate l’appropriazione indebita: usare lo slang giovanile in modo forzato può risultare controproducente
  • Create spazi di dialogo: mostrate interesse genuino per il linguaggio dei vostri figli senza giudicare
  • Monitorate con discrezione: prestate attenzione ai termini che potrebbero indicare situazioni problematiche
  • Aggiornate la vostra conoscenza: lo slang evolve rapidamente, mantenetevi informati

Per gli insegnanti

  • Utilizzate lo slang come strumento educativo: analizzare l’evoluzione linguistica può essere un’interessante attività didattica
  • Promuovete la consapevolezza linguistica: aiutate gli studenti a riflettere sull’impatto delle parole che utilizzano
  • Create un codice comunicativo condiviso: stabilite regole chiare sul linguaggio accettabile in classe
  • Sfruttate questa conoscenza per individuare dinamiche di gruppo: il linguaggio può rivelare gerarchie sociali in formazione

Conclusione: ponte linguistico contro il bullismo

Comprendere lo slang della Generazione Z non significa adottarlo, ma costruire un ponte comunicativo essenziale nella prevenzione del bullismo e del cyberbullismo. Questa conoscenza permette di:

  1. Interpretare correttamente le interazioni tra giovani
  2. Riconoscere tempestivamente segnali di disagio o conflitto
  3. Intervenire in modo appropriato quando necessario
  4. Mantenere aperto il dialogo intergenerazionale

In un’epoca in cui il linguaggio evolve a velocità vertiginosa, rimanere aggiornati sulle modalità espressive dei giovani rappresenta uno strumento fondamentale nella lotta contro il bullismo e nella costruzione di relazioni basate sulla comprensione reciproca.


Nota per genitori e insegnanti: questo glossario rappresenta una fotografia dello slang giovanile attuale, ma è importante ricordare che si tratta di un fenomeno in costante evoluzione. L’atteggiamento più efficace non è memorizzare singoli termini, ma mantenere una curiosità autentica verso le modalità espressive dei giovani, creando spazi di dialogo aperti e non giudicanti.

Gen Zlinguaggioslang
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Il Provocapensieri
venerdì, 14 Marzo 2025 / Published in Genitori, Insegnati, Tutorial

Social Media 101: Conoscere le piattaforme che usano i nostri figli

In un mondo sempre più digitalizzato, i nostri figli navigano quotidianamente in ambienti virtuali che per molti genitori rimangono territori inesplorati. Questa guida si propone di colmare questo divario generazionale, offrendo una panoramica dettagliata delle principali piattaforme social utilizzate dai giovani oggi, analizzandone rischi e opportunità, e fornendo strumenti concreti per proteggere i nostri ragazzi senza soffocare la loro naturale esplorazione digitale.

Perché questa conoscenza è fondamentale

La supervisione genitoriale nel mondo digitale non è solo questione di controllo, ma di consapevolezza condivisa. Conoscere gli ambienti virtuali frequentati dai nostri figli ci permette di:

  • Dialogare con loro utilizzando un linguaggio comune
  • Identificare tempestivamente situazioni potenzialmente pericolose
  • Impostare regole di utilizzo ragionevoli e condivise
  • Riconoscere segnali di cyberbullismo o comportamenti problematici
  • Valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza digitale

Le piattaforme più popolari tra i giovani nel 2025

TikTok

Fascia d’età prevalente: 13-18 anni

Cosa offre: Video brevi (fino a 10 minuti) con possibilità di utilizzare filtri, effetti speciali e audio preregistrati. L’algoritmo è progettato per massimizzare l’engagement e creare dipendenza attraverso un feed infinito di contenuti personalizzati.

Rischi specifici:

  • Algoritmo estremamente coinvolgente che può portare a uso compulsivo
  • Sfide virali potenzialmente pericolose (challenge)
  • Esposizione a contenuti non adatti all’età nonostante i filtri
  • Facile accesso a contenuti che normalizzano comportamenti problematici

Opportunità educative:

  • Sviluppo di competenze creative e di editing video
  • Comunità di creator che condividono contenuti educativi
  • Possibilità di apprendimento attraverso tutorial brevi e coinvolgenti

Instagram

Fascia d’età prevalente: 14-25 anni

Cosa offre: Condivisione di foto, video, storie temporanee (24 ore) e Reels (video brevi simili a TikTok). La piattaforma si concentra sull’estetica visiva e sulla costruzione di un’identità digitale curata.

Rischi specifici:

  • Pressione sociale legata all’immagine e ai canoni estetici
  • Cultura dei like che può influenzare l’autostima
  • Messaggi diretti non filtrati da sconosciuti
  • Confronto costante con vite apparentemente “perfette”

Opportunità educative:

  • Esplorazione di interessi attraverso account tematici
  • Sviluppo di competenze fotografiche e visive
  • Accesso a contenuti di sensibilizzazione su temi sociali

Snapchat

Fascia d’età prevalente: 13-21 anni

Cosa offre: Messaggi e foto che “scompaiono” dopo la visualizzazione, storie temporanee, filtri AR avanzati. La piattaforma è costruita attorno al concetto di comunicazione effimera.

Rischi specifici:

  • Falsa percezione di sicurezza per i contenuti “che scompaiono” (che possono comunque essere salvati tramite screenshot)
  • Funzione Snap Map che condivide la posizione in tempo reale
  • Difficoltà di monitoraggio da parte dei genitori
  • Funzionalità “My Eyes Only” che nasconde contenuti protetti da password

Opportunità educative:

  • Comunicazione creativa attraverso AR e filtri
  • Sviluppo di competenze narrative brevi
  • Mantenimento di connessioni con amici distanti

Discord

Fascia d’età prevalente: 13-23 anni

Cosa offre: Server tematici per chattare tramite testo, audio e video, originariamente creato per i videogiocatori ma oggi utilizzato per qualsiasi tipo di comunità online.

Rischi specifici:

  • Server privati difficili da monitorare
  • Esposizione a contenuti inappropriati o estremisti
  • Contatto con sconosciuti in chat vocali
  • Cyberbullismo in gruppi chiusi

Opportunità educative:

  • Comunità di apprendimento su interessi specifici
  • Sviluppo di competenze di collaborazione e lavoro di squadra
  • Spazi di discussione moderati su temi educativi

BeReal

Fascia d’età prevalente: 15-22 anni

Cosa offre: Una notifica giornaliera che invita gli utenti a scattare una foto con entrambe le fotocamere (frontale e posteriore) entro 2 minuti, promuovendo autenticità invece di perfezione.

Rischi specifici:

  • Pressione a partecipare in qualsiasi contesto ci si trovi
  • Condivisione non intenzionale di elementi privati nello sfondo delle foto
  • Posizione geografica potenzialmente tracciabile nelle foto
  • Impatto sulle attività quotidiane per la necessità di rispondere alla notifica

Opportunità educative:

  • Promozione di autenticità versus perfezione studiata
  • Riduzione dell’ansia sociale legata all’immagine
  • Sviluppo di una cultura digitale più sana

Thread (Meta)

Fascia d’età prevalente: 16-25 anni

Cosa offre: Piattaforma di microblogging testuale, simile a Twitter/X, integrata con Instagram.

Rischi specifici:

  • Contenuti virali spesso polarizzanti
  • Facile diffusione di disinformazione
  • Conversazioni potenzialmente tossiche nei commenti
  • Esposizione a contenuti adulti nonostante i filtri

Opportunità educative:

  • Sviluppo di capacità di sintesi e argomentazione
  • Accesso a notizie e dibattiti su temi d’attualità
  • Possibilità di seguire esperti e divulgatori

Riconoscere i segnali: quando il digitale diventa un problema

Il confine tra uso normale e problematico dei social media può essere sfumato, soprattutto durante l’adolescenza, fase di vita naturalmente caratterizzata da cambiamenti emotivi e comportamentali. Come genitori, la nostra sensibilità deve svilupparsi non tanto nel giudicare l’uso della tecnologia in sé, quanto nel cogliere i cambiamenti sottili che potrebbero indicare una relazione disfunzionale con il mondo digitale.

Osservare i nostri figli significa prestare attenzione non solo a cosa fanno online, ma a come questa esperienza digitale si riflette sul loro benessere complessivo. La trasformazione di un passatempo in un’ossessione raramente avviene all’improvviso; più spesso segue un percorso graduale che si manifesta attraverso piccoli segnali.

Quando l’abitudine diventa dipendenza

I cambiamenti nelle modalità di utilizzo dei dispositivi possono rivelare molto. Un figlio che inizia improvvisamente a trascorrere quantità eccessive di tempo online, sacrificando altre attività precedentemente apprezzate, potrebbe star cercando una via di fuga da difficoltà che non riesce ad affrontare.

Particolarmente significativo è il comportamento furtivo: il ragazzo che nasconde lo schermo quando un genitore si avvicina, che cancella sistematicamente la cronologia di navigazione, o che reagisce con irritazione sproporzionata quando viene interrogato sulle sue attività online, sta probabilmente vivendo un disagio che merita approfondimento.

Anna, madre di un quattordicenne, racconta: “Ho notato che Matteo portava sempre il telefono in bagno, anche per docce brevissime. Una volta l’ho sentito piangere mentre leggeva qualcosa sul cellulare. Quando gli ho chiesto cosa fosse successo, ha spento tutto di fretta dicendo che era solo un video triste. Ma il suo comportamento nei giorni successivi, sempre più isolato, mi ha fatto capire che c’era altro.”

Il riflesso emotivo dell’esperienza digitale

L’impatto più profondo dei social media si manifesta spesso nella sfera emotiva. Un adolescente che mostra segni di ansia o irritabilità quando viene separato dal proprio dispositivo potrebbe aver sviluppato una forma di dipendenza. Questa non è necessariamente legata alla tecnologia in sé, ma a ciò che essa rappresenta: connessione sociale, validazione, fuga da realtà difficili.

L’isolamento progressivo dalla vita reale in favore delle interazioni online è particolarmente preoccupante. Quando un ragazzo inizia a rinunciare sistematicamente a opportunità di socializzazione face-to-face, preferendo restare a casa sui social, potrebbe star sviluppando schemi relazionali problematici che, col tempo, potrebbero compromettere le sue competenze sociali.

La preoccupazione ossessiva per l’immagine digitale merita particolare attenzione. Adolescenti che controllano compulsivamente i like ricevuti, che cancellano post che non ottengono sufficiente approvazione, o che passano ore a perfezionare selfie prima di pubblicarli, potrebbero star sviluppando una dipendenza dalla validazione esterna potenzialmente dannosa per l’autostima.

Il volto nascosto del cyberbullismo

Il volto nascosto del cyberbullismo

Il cyberbullismo si distingue per la sua capacità di seguire la vittima ovunque, rendendo impossibile la fuga anche tra le mura domestiche. I segnali spesso si manifestano in modo sottile: un ragazzo che fino a poco prima amava condividere le proprie esperienze online e che improvvisamente elimina profili social o mostra riluttanza a parlarne potrebbe star cercando di sfuggire a situazioni di abuso.

Gli effetti emotivi sono spesso visibili anche offline. Espressioni di tristezza, ansia o paura dopo aver controllato il telefono, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno o cambiamenti nell’appetito possono essere campanelli d’allarme. Particolarmente significativo è l’evitamento di situazioni sociali scolastiche, spesso indice che il bullismo online ha un collegamento con la vita quotidiana.

Il caso di Giulia, madre di Sofia, è emblematico: “Mia figlia ha iniziato a inventare scuse per non andare a scuola. All’inizio pensavo fosse pigrizia, poi ho notato che si vestiva appositamente in modo anonimo, come se volesse diventare invisibile. Solo quando ho trovato il coraggio di parlarle apertamente, scoprendo che era vittima di una campagna di derisione su Instagram, ho capito quanto stesse soffrendo in silenzio.”

Costruire un ponte tra generazioni: strategie di prevenzione efficaci

La prevenzione dei rischi legati ai social media non consiste semplicemente nell’imporre divieti o installare filtri, ma nel costruire un ecosistema familiare in cui la consapevolezza digitale diventa parte integrante delle relazioni. Come genitori, il nostro compito più importante è trasformare la tecnologia da potenziale barriera a opportunità di connessione con i nostri figli.

Il potere trasformativo del dialogo aperto

La comunicazione rappresenta il fondamento di qualsiasi strategia preventiva efficace. In un’epoca in cui i giovani sembrano parlare un linguaggio digitale diverso dal nostro, costruire ponti comunicativi diventa essenziale, seppur spesso sfidante. Il dialogo efficace non nasce dall’interrogatorio, ma dalla creazione di uno spazio emotivo sicuro in cui i ragazzi possano condividere liberamente le loro esperienze online.

Marco, padre di due adolescenti, racconta la sua esperienza: “All’inizio provavo ansia quando vedevo i miei figli sempre sui social. Poi ho cambiato approccio: invece di criticare, ho iniziato a chiedere loro di mostrarmi cosa trovassero così interessante. Sono rimasto sorpreso dalla ricchezza di contenuti che seguivano, alcuni davvero educativi. Questo ha aperto un canale di comunicazione che prima era bloccato.”

L’approccio più efficace è quello della curiosità genuina. Chiedere ai ragazzi di farci da guida nel loro mondo digitale non solo ci aiuta a comprenderlo meglio, ma inverte la dinamica di potere tradizionale, valorizzando le loro competenze e rafforzando la loro autostima. Quando un genitore si mostra sinceramente interessato anziché giudicante, i figli sono più propensi a condividere anche le esperienze problematiche.

Particolarmente importante è la reciprocità: condividere anche le nostre esperienze digitali, incluse le difficoltà e gli errori, umanizza il rapporto con la tecnologia e mostra che la navigazione consapevole è un percorso continuo di apprendimento per tutti.

L’educazione digitale come avventura familiare

L’alfabetizzazione digitale non dovrebbe essere relegata esclusivamente alla scuola, ma integrata nell’esperienza familiare quotidiana. Quando una nuova piattaforma emerge e cattura l’interesse dei ragazzi, esplorarla insieme diventa un’opportunità preziosa di apprendimento reciproco.

I casi di cronaca legati ai social media, anziché essere usati per alimentare paure, possono diventare spunti di riflessione condivisa. “Quando è emerso il caso di quella ragazza vittima di revenge porn,” racconta Lucia, madre di una quindicenne, “invece di proibire semplicemente l’uso dei social a mia figlia, abbiamo discusso insieme delle dinamiche di consenso e privacy. Questa conversazione ha creato una consapevolezza che nessun divieto avrebbe potuto generare.”

L’analisi critica dei contenuti incontrati online, condotta senza atteggiamenti censori ma con approccio riflessivo, aiuta i ragazzi a sviluppare gli anticorpi necessari per navigare autonomamente. Altrettanto importante è valorizzare gli usi costruttivi dei social: celebrare quando i ragazzi utilizzano le piattaforme per apprendere nuove competenze, esprimere creatività o partecipare a iniziative solidali rinforza comportamenti positivi.

L’arte sottile delle regole condivise

Le regole funzionano solo quando vengono percepite come protezioni ragionevoli e non come punizioni arbitrarie. Il coinvolgimento dei ragazzi nella loro definizione è cruciale: le norme co-costruite vengono interiorizzate più facilmente di quelle imposte dall’alto.

La proporzionalità all’età e alla maturità è un altro principio fondamentale. Come spiega la psicologa dell’età evolutiva Claudia Rossi: “Le regole digitali dovrebbero evolvere con la crescita dei ragazzi. Un dodicenne necessita di confini più definiti rispetto a un diciassettenne, ma entrambi hanno bisogno di sentire che c’è una progressiva apertura di fiducia.”

La flessibilità e la possibilità di rinegoziare le regole nel tempo le rende vive e pertinenti. Regole rigide e immutabili spesso generano resistenza o portano a comportamenti elusivi, mentre un approccio adattivo riconosce la natura dinamica dello sviluppo adolescenziale e dell’ecosistema digitale.

Nella pratica, alcune strategie si sono dimostrate particolarmente efficaci: creare momenti quotidiani device-free, come i pasti familiari o l’ora prima di dormire, aiuta a mantenere spazi di connessione umana non mediata dalla tecnologia. Per i più giovani, mantenere i dispositivi in spazi comuni della casa non è tanto una forma di sorveglianza quanto un modo per integrare naturalmente la supervisione nella vita familiare.

La tecnologia che protegge dalla tecnologia

Gli strumenti di controllo parentale rappresentano un supporto complementare, mai sostitutivo, all’approccio relazionale. Le app di monitoraggio del tempo-schermo, i filtri contenuti a livello di router domestico e le impostazioni privacy rafforzate possono creare un ambiente digitale più sicuro, specialmente per i più giovani.

Tuttavia, come sottolinea Paolo, ingegnere informatico e padre: “Nessun filtro è infallibile, e i ragazzi tecnologicamente competenti troveranno sempre modi per aggirare le restrizioni se non ne comprendono il senso. La vera protezione è la consapevolezza che costruiamo insieme a loro.”

L’utilizzo di questi strumenti dovrebbe essere trasparente e spiegato chiaramente ai ragazzi come forma di protezione temporanea, non di sfiducia permanente. Con l’aumentare dell’età e della maturità, il passaggio graduale da un controllo esterno a un’autoregolazione consapevole rappresenta un obiettivo educativo fondamentale.

Quando il digitale ferisce: l’arte delicata dell’intervento

Scoprire che nostro figlio sta vivendo situazioni dolorose online rappresenta un momento critico che mette alla prova le nostre capacità genitoriali. Il nostro intervento può fare la differenza tra un trauma che lascia cicatrici permanenti e un’esperienza difficile che, se gestita adeguatamente, può trasformarsi in opportunità di crescita e resilienza.

L’ascolto che cura: l’approccio non accusatorio

Il primo istinto di fronte alla sofferenza di un figlio è spesso protettivo e reattivo: proibire l’uso dei dispositivi, confrontare direttamente i responsabili, esprimere rabbia o paura. Sebbene comprensibili, queste reazioni immediate rischiano di chiudere il canale comunicativo proprio quando è più necessario mantenerlo aperto.

La psicologa Maria Contini, specializzata in adolescenza e nuovi media, spiega: “Quando un ragazzo trova il coraggio di confidarsi riguardo a esperienze negative online, il modo in cui reagiamo determina se si aprirà ancora in futuro. Un atteggiamento accusatorio, anche implicito, rischia di far sentire la vittima responsabile o inadeguata, aggiungendo vergogna al dolore già provato.”

L’approccio più efficace inizia con l’ascolto attivo, creando uno spazio in cui il ragazzo possa esprimere liberamente le proprie emozioni senza timore di giudizio o conseguenze punitive. Le domande aperte come “Come ti senti quando ricevi questi messaggi?” o “Cosa ti preoccupa maggiormente di questa situazione?” permettono una comprensione più profonda rispetto a interrogatori focalizzati sui dettagli fattual

Laura, madre di un tredicenne vittima di cyberbullismo, racconta: “Quando ho scoperto cosa stava succedendo, ho dovuto letteralmente mordermi la lingua per non esplodere. Ho respirato profondamente e ho semplicemente detto: ‘Mi dispiace che tu stia passando questo. Non è colpa tua. Insieme troveremo una soluzione.’ Il sollievo nei suoi occhi è stato immediato, come se si fosse tolto un peso.”

Comprendere prima di agire: la raccolta consapevole di informazioni

Una volta stabilito un dialogo aperto, è importante raccogliere informazioni sufficienti per comprendere la natura e la gravità della situazione. Questo processo deve bilanciare il rispetto della privacy del ragazzo con la necessità di acquisire elementi concreti per un intervento efficace.

Chiedere di vedere i messaggi o contenuti problematici dovrebbe avvenire con delicatezza, spiegando che l’obiettivo non è controllare ma comprendere per aiutare meglio. La documentazione delle prove, attraverso screenshot o salvando conversazioni, è particolarmente importante nei casi di cyberbullismo che potrebbero richiedere l’intervento di terze parti.

Cruciale in questa fase è la comprensione del contesto completo. Il cyberbullismo spesso si intreccia con dinamiche relazionali complesse, e ciò che appare inizialmente come aggressione unidirezionale può rivelarsi parte di interazioni più articolate. Come sottolinea il professor Mauro Boldrini, esperto di relazioni digitali: “Online, i ruoli di vittima e aggressore possono essere più fluidi e sfumati rispetto al bullismo tradizionale. Comprendere l’intero quadro prima di intervenire è essenziale per non esacerbare involontariamente la situazione.”

Intervenire con saggezza: l’azione proporzionata

L’intervento efficace è quello calibrato sulla specificità della situazione, tenendo conto della gravità, del contesto e della resilienza emotiva del ragazzo coinvolto. Non esiste un approccio universale, ma piuttosto una gradualità di azioni possibili.

Quando il problema coinvolge compagni di scuola, l’istituzione scolastica rappresenta spesso il primo interlocutore. “Abbiamo contattato la coordinatrice di classe,” racconta Paolo, padre di una studentessa delle medie, “non per cercare punizioni, ma per attivare un percorso educativo che coinvolgesse tutti gli studenti. L’approccio sistemico ha trasformato un evento doloroso in un’opportunità di crescita collettiva.”

Parallelamente, i meccanismi di segnalazione delle piattaforme social permettono di affrontare il problema alla fonte. Ogni piattaforma offre strumenti specifici per segnalare contenuti inappropriati, molestie o comportamenti abusivi, e imparare a utilizzarli insieme ai ragazzi rappresenta un’importante lezione di cittadinanza digitale.

Nei casi più gravi, quando si configurano reati come minacce, diffamazione o diffusione non consensuale di immagini intime, il coinvolgimento delle autorità competenti diventa necessario. La Polizia Postale dispone di unità specializzate nel trattamento di questi casi, con protocolli pensati per minimizzare l’impatto emotivo sulle giovani vittime.

Il supporto psicologico professionale, spesso percepito come extrema ratio, dovrebbe invece essere considerato una risorsa preziosa anche in situazioni di media gravità. Un percorso terapeutico breve può fornire al ragazzo strumenti emotivi e cognitivi per elaborare l’esperienza traumatica e rafforzare la propria resilienza.

Oltre la crisi: il supporto continuo

L’intervento non si esaurisce con la risoluzione della situazione problematica immediata. Il vero lavoro di guarigione inizia spesso dopo, attraverso un supporto continuo che permetta al ragazzo di rielaborare l’esperienza e integrarla nella propria narrativa personale in modo costruttivo.

Rafforzare l’autostima danneggiata rappresenta una priorità. Le esperienze di rifiuto, umiliazione o abuso online colpiscono il nucleo dell’identità in formazione degli adolescenti. Aiutarli a distinguere tra il loro valore intrinseco e le opinioni o azioni altrui diventa fondamentale. Come spiega la psicoterapeuta Camilla Rossi: “Il messaggio più potente che possiamo trasmettere è che ciò che accade online può far male, ma non definisce chi sono veramente.”

Il dialogo sulle esperienze digitali dovrebbe rimanere aperto anche dopo la risoluzione della crisi. Creare occasioni regolari di confronto non focalizzate su problemi specifici, ma sulla condivisione delle esperienze quotidiane online, normalizza la comunicazione su questi temi e facilita la segnalazione precoce di eventuali nuove criticità.

Infine, monitorare con discrezione i cambiamenti comportamentali nel tempo permette di cogliere segnali di disagio persistente che potrebbero richiedere ulteriore supporto. La resilienza non è un traguardo definitivo ma un processo continuo che richiede attenzione e cura costanti.

Conclusione: equilibrio tra protezione e autonomia

L’obiettivo ultimo dell’educazione digitale non è controllare ogni aspetto della vita online dei nostri figli, ma fornire loro gli strumenti per navigare autonomamente e responsabilmente il mondo digitale. Conoscere le piattaforme che utilizzano rappresenta il primo passo fondamentale per:

  • Costruire una relazione di fiducia basata sulla comprensione reciproca
  • Identificare precocemente dinamiche problematiche
  • Valorizzare le opportunità positive offerte dai social media
  • Preparare i ragazzi ad un futuro inevitabilmente digitale

La sfida per noi genitori è trovare il giusto equilibrio tra protezione e sviluppo dell’autonomia digitale: un compito complesso ma essenziale per crescere nativi digitali consapevoli e responsabili.


Risorse utili

  • Linea di ascolto nazionale contro il bullismo: numero verde gratuito 1.96.96
  • Polizia Postale: https://www.commissariatodips.it
  • Generazioni Connesse: https://www.generazioniconnesse.it
  • Telefono Azzurro: https://azzurro.it
challengeInstagramsocialtiktok
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Il Provocapensieri
venerdì, 07 Febbraio 2025 / Published in Documentazione, Genitori, Insegnati, Tutorial

Challenge sui social: quando la sfida digitale diventa pericolo reale

Nel panorama digitale contemporaneo, le “challenge” rappresentano uno dei fenomeni più caratteristici e potenzialmente problematici, specialmente per i più giovani. Queste sfide virali, che si diffondono rapidamente attraverso piattaforme come TikTok, Instagram e YouTube, esercitano un’influenza significativa sui comportamenti degli adolescenti, attirando la loro attenzione con la promessa di visibilità, approvazione sociale e senso di appartenenza.

Anatomia di un fenomeno digitale

Il termine inglese challenge (sfida) è ormai entrato nell’uso comune per indicare quelle prove lanciate sui social network finalizzate ad accumulare like, commenti e condivisioni. Nonostante la loro onnipresenza nell’attuale ecosistema digitale, le challenge rappresentano un fenomeno relativamente recente nella storia dei social media.

La prima challenge divenuta davvero virale a livello globale risale al 2014: l’Ice Bucket Challenge. Questa sfida consisteva nel rovesciarsi addosso un secchio di acqua gelata, documentare l’esperienza con un video da pubblicare sui social e “nominare” amici e conoscenti invitandoli a fare lo stesso. A differenza di molte challenge successive, questa nasceva con un nobile intento: sensibilizzare l’opinione pubblica sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e raccogliere fondi per la ricerca scientifica. L’iniziativa, promossa dalla ALS Association (l’associazione americana che si occupa di malati di SLA), raggiunse un successo straordinario, raccogliendo oltre 115 milioni di dollari in donazioni.

Questo caso iniziale illustra il potenziale positivo delle challenge come strumento di sensibilizzazione e mobilitazione collettiva. Tuttavia, ha anche inaugurato un modello di interazione sociale digitale che, negli anni successivi, ha assunto forme ben più problematiche e pericolose.

La psicologia dietro le challenge

Per comprendere il potere attrattivo delle challenge, specialmente sugli adolescenti, è necessario analizzare i meccanismi psicologici che ne alimentano la diffusione. Le challenge rispondono a bisogni fondamentali tipici dell’età evolutiva:

  1. Appartenenza e riconoscimento sociale: Partecipare a una challenge permette di sentirsi parte di un movimento collettivo, di un’esperienza condivisa che trascende i confini geografici e culturali.
  2. Costruzione identitaria: Durante l’adolescenza, periodo cruciale per la formazione dell’identità, le challenge offrono opportunità di auto-affermazione e distinzione.
  3. Ricerca di emozioni forti: La neurofisiologia dell’adolescenza è caratterizzata da una maggiore sensibilità alla ricompensa e da una minore percezione del rischio, rendendo particolarmente attraenti sfide che promettono esperienze intense o trasgressive.
  4. Visibilità e approvazione: Il sistema di ricompense immediate (like, commenti, condivisioni) gratifica il bisogno di riconoscimento tipico dell’età evolutiva.

Come spiega la dottoressa Maura Manca, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, “le challenge sfruttano la naturale propensione degli adolescenti al confronto con i pari e alla sperimentazione dei propri limiti, amplificando questi meccanismi attraverso la cassa di risonanza dei social media“. Questo mix di fattori psicologici, combinato con l’architettura delle piattaforme social progettata per massimizzare l’engagement, crea un ambiente particolarmente favorevole alla diffusione virale di comportamenti potenzialmente rischiosi.

Tipologia delle challenge: dal divertimento al pericolo

Le challenge possono essere classificate lungo uno spettro che va da quelle innocue e divertenti fino a quelle estremamente pericolose:

Challenge creative e benefiche

Alcune sfide promuovono creatività, consapevolezza sociale o comportamenti positivi:

  1. Trash Challenge: Nata per sensibilizzare sul tema dell’inquinamento ambientale, invita i partecipanti a pubblicare due foto dello stesso luogo: la prima mostra un’area piena di rifiuti abbandonati, la seconda documenta come la zona è stata ripulita dal partecipante stesso.
  2. Book Bucket Challenge: Una variante culturale dell’Ice Bucket Challenge che incoraggia la lettura e la condivisione di libri preferiti.
  3. What I Would Have Said Challenge: Una challenge nata durante la pandemia per promuovere la salute mentale, incentivando le persone a esprimere sentimenti non detti.
  4. Between Art and Quarantine Challenge – Questa sfida culturale incoraggia la creatività facendo replicare opere d’arte famose usando oggetti casalinghi. È educativa, stimola l’interesse per l’arte e rappresenta un uso costruttivo dei social media.
  5. Patience Challenge – Sebbene rivolta principalmente ai bambini, questa sfida insegna l’autocontrollo e la gratificazione ritardata, abilità fondamentali anche per resistere alla pressione dei pari in situazioni di potenziale bullismo.

Challenge basate sull’abilità che promuovono competenze positive

  1. Doodle Challenge – Una sfida creativa che promuove la comunicazione non verbale e la cooperazione. Può essere presentata come esempio di challenge che stimola competenze sociali positive.
  2. Gesture Challenge – Richiede coordinazione e precisione, senza comportare rischi. È un esempio di sfida che testa abilità senza incentivare comportamenti pericolosi.
  3. Your First Move Is Their Last Move Challenge – Promuove la creatività e il lavoro di squadra, potendo coinvolgere tutta la famiglia in un’attività cooperativa.

Challenge innocue ma potenzialmente problematiche

Un secondo livello include sfide che, pur non comportando rischi fisici immediati, possono avere implicazioni psicologiche o sociali negative:

  1. Food Challenge: Sfide legate al cibo che possono variare dal semplice assaggio di cibi piccanti o insoliti fino a comportamenti più problematici come ingurgitare grandi quantità di cibo in poco tempo.
  2. A4 Waist Challenge: Una sfida che invita a dimostrare di avere un girovita tanto sottile da poter essere nascosto dietro un foglio A4 tenuto in verticale. Questo tipo di challenge promuove ideali di magrezza estrema potenzialmente dannosi per l’immagine corporea.
  3. Beauty Mode Challenge – Questa sfida, che gioca sulla trasformazione dell’aspetto fisico attraverso filtri digitali, può essere discussa in relazione ai problemi di autostima e all’ossessione per l’aspetto fisico che spesso alimentano dinamiche di bullismo.
  4. Vogue Challenge – Nata come protesta anti-razzismo, è interessante da analizzare in ottica di inclusività, ma può anche rafforzare standard di bellezza irrealistici se mal interpretata.
  5. Who is More Challenge – Questa sfida tra amici o familiari che si “giudicano” a vicenda può sembrare innocua, ma può facilmente scivolare in dinamiche di confronto negativo o imbarazzo che è utile discutere in chiave preventiva.

Challenge pericolose

Il livello più preoccupante include sfide che comportano rischi significativi per la salute fisica e talvolta per la vita stessa:

  1. Blackout Challenge: Conosciuta anche come “choking challenge” o “passout challenge”, questa sfida consiste nel trattenere il respiro o impedire l’afflusso di ossigeno al cervello fino a perdere conoscenza. Secondo il rapporto “Social Media Victims Law Center”, questa challenge ha causato la morte di almeno 20 minori tra il 2021 e il 2022 a livello globale.
  2. Tide Pod Challenge: Una sfida che consisteva nell’ingerire capsule di detersivo per lavatrice, causando numerosi casi di avvelenamento.
  3. Benadryl Challenge: Invitava i partecipanti ad assumere dosi elevate di un farmaco antistaminico per provocare allucinazioni, portando a diversi ricoveri ospedalieri e almeno un decesso confermato.
  4. Blackout Challenge (o “Choking Challenge”): Questa sfida mortale consiste nel trattenere il respiro o bloccare l’afflusso di ossigeno al cervello fino a perdere conoscenza. È una delle più pericolose in assoluto perché l’asfissia può causare danni cerebrali permanenti o morte. Purtroppo, diverse morti di bambini e adolescenti sono state direttamente collegate a questa challenge, incluso il caso di un bambino di 9 anni in Italia nel 2021. I genitori dovrebbero essere particolarmente attenti a segnali come segni sul collo, corde o cinture nascoste in camera, o riferimenti a sensazioni di “sballo” senza uso di sostanze.
  5. Tide Pod Challenge: Questa sfida consisteva nell’ingerire capsule di detersivo per lavatrice. Le conseguenze possono essere gravissime: ustioni chimiche all’esofago e alle vie respiratorie, vomito incontrollabile, problemi respiratori acuti e persino la morte. Nel 2018, i Centri per il Controllo delle Malattie americani (CDC) hanno registrato un aumento allarmante di avvelenamenti tra adolescenti proprio a causa di questa challenge.
  6. Benadryl Challenge: Questa sfida incoraggiava i partecipanti ad assumere dosi massicce di un farmaco antistaminico (contenente difenidramina) per provocare allucinazioni. Le overdose di questo farmaco possono causare aritmie cardiache, convulsioni, coma e morte. Nel 2020, almeno una morte di un’adolescente è stata direttamente collegata a questa challenge.
  7. Salt and Ice Challenge: Consiste nel mettere sale sulla pelle seguita da cubetti di ghiaccio. La reazione chimica abbassa drasticamente la temperatura (fino a -17°C) causando ustioni di secondo e terzo grado simili a quelle da congelamento. Molti adolescenti hanno riportato cicatrici permanenti.
  8. Fire Challenge: Prevede di cospargersi di un liquido infiammabile (come alcol) e darsi fuoco prima di tuffarsi in una piscina o sotto la doccia. Numerosi adolescenti hanno riportato ustioni gravi di secondo e terzo grado, e alcuni sono deceduti quando le fiamme sono sfuggite al controllo.

    Challenge che promuovono comportamenti autolesionisti

    1. Blue Whale Challenge: Questa non è una semplice sfida ma una serie di 50 “compiti” assegnati da un “curatore” online, che diventano progressivamente più pericolosi e autolesionisti, culminando nell’ultimo compito che incoraggia il suicidio. Sebbene molti dettagli siano dibattuti, le autorità di diversi paesi hanno collegato numerosi suicidi adolescenziali a questa challenge,  si è parlato di circa 130 morti solo in Russia.
    2. Momo Challenge: Simile alla Blue Whale, questa challenge utilizzava un’immagine inquietante (“Momo”) per attirare l’attenzione e poi incoraggiava comportamenti pericolosi tramite messaggi privati, con minacce se i partecipanti non completavano le sfide. Ha causato panico tra i genitori nel 2018-2019 ed è stata collegata a episodi di autolesionismo.
    3. Skullbreaker Challenge (o “Trip Jump Challenge”): In questa sfida, tre persone si dispongono in fila e devono saltare, ma alle due persone esterne viene detto di saltare mentre alla persona centrale vengono fatti lo sgambetto durante il salto, provocandone una caduta violenta sulla schiena o sulla testa. Ha causato numerose commozioni cerebrali, fratture e traumi cranici.
    4. Eraser Challenge: I partecipanti devono strofinare vigorosamente una gomma sulla pelle mentre recitano l’alfabeto o completano una sfida a tempo, causando abrasioni dolorose e potenzialmente infezioni.

    Challenge che promuovono comportamenti a rischio

    1. Kiki Challenge (o “In My Feelings Challenge”): Richiede di uscire da un’auto in movimento e ballare accanto al veicolo che continua a procedere. Oltre ai rischi evidenti di cadere dall’auto, ci sono stati casi di investimenti e incidenti stradali.
    2. Cinnamon Challenge: Consiste nell’ingerire un cucchiaio di cannella in polvere senza acqua. Può causare soffocamento, tosse incontrollabile, vomito e, nei casi più gravi, pneumopatie quando la cannella viene inalata nei polmoni.
    3. Bird Box Challenge: Ispirata dal film Netflix, questa sfida consiste nel compiere attività quotidiane (inclusa la guida) bendati. Ha causato numerosi incidenti, incluso un caso in cui un’adolescente ha provocato un incidente stradale mentre guidava bendata.
    4. Milk Crate Challenge: Prevede di scalare una piramide instabile di cassette del latte e poi discendere dall’altro lato. Ha causato numerose fratture, distorsioni e traumi alla colonna vertebrale.

    “Se sei pronta a diventare una balena inciditi ‘yes’ sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti”. È stato uno dei messaggi inviati via social nel 2017 a una 12enne di Palermo da una 23enne di Milano che si sarebbe spacciata come “curatore” della “Blue Whale Challenge”

    Blue Whale Challenge

    I numeri del fenomeno in Italia

    La diffusione delle challenge tra i giovani italiani è documentata da ricerche recenti. Uno studio condotto dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, intitolato “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”, ha prodotto dati significativi. La ricerca, che ha coinvolto nell’autunno del 2022 più di 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni su tutto il territorio nazionale, ha rivelato che il 6,1% degli intervistati ha partecipato almeno una volta a una challenge sui social.

    Particolarmente allarmante è il dato relativo alla fascia d’età più giovane: tra gli 11-13 anni la percentuale di partecipazione sale al 7,6%, indicando una maggiore vulnerabilità dei preadolescenti rispetto ai loro coetanei più grandi. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato dalla minore capacità di valutazione critica e dalla maggiore suggestibilità tipiche della prima adolescenza.

    La ricerca evidenzia inoltre una correlazione significativa tra la partecipazione alle challenge e altri indicatori di disagio psicologico, suggerendo che i ragazzi più vulnerabili potrebbero essere anche quelli più propensi a impegnarsi in comportamenti rischiosi online per ottenere approvazione sociale.

    Il ruolo delle piattaforme social

    Le piattaforme social giocano un ruolo complesso nell’ecosistema delle challenge. Da un lato, i loro algoritmi tendono a premiare contenuti che generano elevato engagement, favorendo così la diffusione virale di sfide spettacolari o estreme. Dall’altro, in seguito a pressioni legali e dell’opinione pubblica, hanno implementato politiche più rigorose per contrastare la diffusione di challenge pericolose.

    TikTok, piattaforma particolarmente popolare tra i giovani e frequente veicolo di diffusione delle challenge, ha introdotto nel 2021 nuove linee guida che vietano esplicitamente contenuti che promuovono sfide pericolose. La piattaforma ha anche implementato sistemi di moderazione automatizzata e manuale per identificare e rimuovere tali contenuti.

    Tuttavia, l’efficacia di queste misure rimane oggetto di dibattito. Come sottolinea un rapporto della Digital Services Act Observatory dell’Università di Bologna, “gli attuali sistemi di moderazione mostrano limiti significativi nel rilevare sfide pericolose, specialmente quando queste vengono promosse attraverso hashtag alternativi o contenuti codificati per eludere il rilevamento automatico“.

    Strategie di prevenzione e intervento

    Di fronte alla persistenza del fenomeno, l’approccio più efficace sembra essere quello educativo, mirato a sviluppare nei giovani competenze critiche e capacità di autoregolazione.

    Per i genitori

    1. Dialogo aperto e non giudicante: Creare uno spazio in cui i ragazzi possano discutere liberamente delle loro esperienze online senza timore di essere giudicati o puniti.
    2. Educazione ai media: Aiutare i figli a sviluppare competenze critiche per analizzare i contenuti digitali, riconoscere manipolazioni e valutare rischi reali.
    3. Monitoraggio consapevole: Essere informati sulle tendenze digitali del momento e sui social utilizzati dai propri figli, senza invadere la loro privacy ma rimanendo punti di riferimento accessibili.
    4. Modellamento comportamentale: Offrire esempi positivi di utilizzo dei social media e di gestione della pressione dei pari.

    Per gli educatori e le scuole

    1. Programmi di alfabetizzazione digitale: Implementare percorsi formativi che sviluppino competenze critiche specifiche per navigare l’ambiente dei social media.
    2. Discussioni in classe: Utilizzare casi di studio su challenge virali come opportunità di riflessione critica collettiva.
    3. Peer education: Formare gruppi di studenti più grandi che possano fungere da mentori per i più giovani su temi di sicurezza digitale.

    Il futuro delle challenge: verso un utilizzo più consapevole

    Le challenge non sono intrinsecamente negative, come dimostra l’esempio virtuoso dell’Ice Bucket Challenge o della più recente Trash Challenge. Il problema non risiede nel formato in sé, ma nel tipo di comportamenti che vengono promossi e nel pubblico che viene raggiunto.

    Come osserva Paolo Ferri, professore di Tecnologie della formazione presso l’Università di Milano-Bicocca, “dobbiamo superare l’approccio puramente restrittivo per abbracciare un modello educativo che valorizzi il potenziale positivo delle dinamiche social, reindirizzandole verso obiettivi costruttivi e prosociali“.

    In questa prospettiva, la strada più promettente sembra essere quella di promuovere una cultura digitale che incoraggi i giovani a diventare creatori consapevoli piuttosto che consumatori passivi, capaci di utilizzare il formato delle challenge per esprimere creatività, condividere valori positivi e promuovere cause meritevoli.

    Conclusione

    Le challenge sui social rappresentano un fenomeno complesso che riflette dinamiche psicologiche e sociali profondamente radicate nella cultura giovanile contemporanea. La loro evoluzione dall’originaria Ice Bucket Challenge a manifestazioni talvolta estremamente pericolose illustra il potenziale ambivalente della comunicazione digitale.

    Come spesso accade, non è il fenomeno in sé il problema ma il modo in cui viene utilizzato e il tipo di pubblico che riesce a raggiungere. Lo stesso formato può non rappresentare un rischio per una persona adulta con un buon grado di consapevolezza, ma può diventare estremamente pericoloso per un bambino o un adolescente la cui capacità di valutazione del rischio è ancora in formazione.

    Poiché le challenge sono ormai parte integrante dell’ecosistema digitale e difficilmente scompariranno, l’unica strada percorribile è quella della prevenzione: genitori, educatori e istituzioni devono collaborare per aiutare bambini e giovani a sviluppare un senso di responsabilità e autonomia che permetta loro di distinguere tra sfide costruttive e comportamenti pericolosi, riconoscendo il sottile ma cruciale confine che separa la sperimentazione dal rischio inaccettabile.


    QUESTO ARTICOLO E’ IN COSTANTE AGGIORNAMENTO

    Fonti

    • Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Istituto Superiore di Sanità. (2022). “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”.
    • Social Media Victims Law Center. (2023). “Report on Social Media Challenges and Youth Safety”.
    • Osservatorio Nazionale Adolescenza. (2022). “Adolescenti e Sfide Digitali: Rischi e Opportunità”.
    • Digital Services Act Observatory, Università di Bologna. (2023). “Moderazione dei Contenuti e Protezione dei Minori nelle Piattaforme Digitali”.
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    Il Provocapensieri
    lunedì, 13 Febbraio 2023 / Published in Tutorial

    CONTROLLARE IL CELLULARE DEI FIGLI: ECCO LE APP CHE FUNZIONANO

    Stai cercando le migliori app per controllare il cellulare dei tuoi figli? In questo articolo troverai una guida completa sulle più performanti.

    Il controllo del cellulare dei figli oggi si presenta come un’operazione indispensabile, soprattutto se hai a cuore la loro sicurezza e desideri proteggerli dai rischi.

    Queste app sono infatti dotate di una serie di funzioni molto utili, come ad esempio la geofence, che ti avvisa se e quando il ragazzo esce da una determinata zona, sfruttando il GPS del suo telefono. Sicuramente saprai già che l’adolescenza è un momento molto particolare, e che i ragazzi tendono a fare i ribelli e ad agire di testa propria, magari frequentando le persone sbagliate.

    Con una applicazione ad hoc, però, potrai sempre monitorarli.

    LE MIGLIORI APP PER CONTROLLARE IL CELLULARE DEI FIGLI

    1. MSPY

    MSpy può essere considerata come la regina delle app spia, di conseguenza si tratta di una delle opzioni più scaricate in assoluto. Se desideri controllare la posizione del cellulare dei tuoi figli, questo piccolo prodigio potrebbe fare proprio al caso tuo. Cos’è e come funziona MSpy?

    Si parla di un applicativo ricco di funzioni, come la possibilità di controllare la posizione del cellulare tramite le coordinate GPS. In sintesi, potrai ricevere un messaggio con queste ultime, così da sapere sempre dove si trova il ragazzo.

    In realtà le funzioni disponibili sono decisamente più numerose, e svariano dal controllo dei messaggi inviati e ricevuti su app come WhatsApp, allo studio delle conversazioni su Messenger. Inoltre, potrai visionare tutti i file multimediali presenti su quel telefono, il che include anche le foto, i messaggi audio e ovviamente i video.

    Non si finisce qui, perché MSpy consente di consultare anche il registro delle chiamate inviate e ricevute, e di farlo da remoto, dunque comodamente seduto sulla poltrona di casa.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI MSPY
    1. FLEXISPY

    Fra le migliori app per controllare il cellulare dei figli troviamo anche FlexiSpy, la cui qualità eguaglia quella di MSpy. Anche le funzioni a tua disposizione sono tutto sommato simili, di conseguenza potrai usarla per controllare i registri delle chiamate e i messaggi. Ma questo applicativo nasconde moltissime sorprese, uniche nel loro genere.

    Potrai ad esempio usarlo trasformando lo smartphone in una sorta di microspia, dunque per captare i suoni ambientali sfruttando il microfono integrato del dispositivo. Per farlo ti basta selezionare dal tuo pannello di controllo l’opzione FlexiSpy.

    Si tratta di una delle pochissime applicazioni che ti permette questa forma di controllo, e inoltre potrai ascoltare e registrare persino le telefonate. In questo modo saprai sempre con chi comunica tuo figlio, e quali sono i contenuti delle sue conversazioni.

    Si tratta di un’opzione molto preziosa per capire se si sta mettendo in qualche pasticcio, o per proteggere la sua privacy. In secondo luogo, FlexiSpy è compatibile con tutti i sistemi operativi più diffusi, da iOS fino ad arrivare ad Android.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI FLEXISPY
    1. IKEYMONITOR

    Il terzetto di testa viene chiuso da IkeyMonitor, un’altra app fondamentale se ti stai chiedendo come controllare la posizione del cellulare dei tuoi figli. Di cosa si tratta?

    Condivide molte delle caratteristiche già analizzate in precedenza, come nel caso del monitoraggio delle chat del ragazzo su WhatsApp e Facebook, insieme alla registrazione delle telefonate in ingresso e in uscita, tramite il microfono dello smartphone. Inoltre, essendo dotata di funzione geofencing, ti dà la possibilità di fissare una “zona di confine” e di ricevere un alert se tuo figlio la oltrepassa.

    Dato che si tratta di una delle migliori applicazioni spia attualmente sul mercato, è chiaro che le funzioni speciali non terminano qui. Questo applicativo integra infatti una serie di opzioni molto avanzate difficilissime da trovare altrove.

    Per farti qualche esempio pratico, IkeyMonitor ti dà la possibilità di bloccare il cellulare o l’uso delle app dopo un certo periodo di tempo prestabilito, per limitare l’utilizzo del dispositivo da parte del ragazzo. Infine, grazie a questo programma è possibile ricevere tutte le notifiche via mail e registrare l’audio ambientale, tramite il microfono del telefonino.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI IKEYMONITOR
    1. ADENSPY

    Nel campo dei software di sorveglianza dei cellulari, AdenSpy sarà forse meno famoso rispetto agli altri, ma rappresenta un’assoluta garanzia di qualità. Questa app per controllare il cellulare dei figli, infatti, ti mette a disposizione una pletora di funzioni molto avanzate.

    Facciamo ad esempio riferimento alla registrazione dell’audio ambientale tramite il microfono del telefono, così da capire dove si trova il ragazzino. Inoltre, questo programma per spiare riesce a captare le coordinate geografiche della posizione del ragazzo, come sempre attraverso il modulo GPS integrato nel telefono.

    Le buone notizie non finiscono qui, perché AdenSpy.me ha una funzione probabilmente unica nel suo genere. Funziona infatti come una vera e propria telecamera di sorveglianza, ma speciale: nel senso che registra tutto ciò che accade sul display del cellulare, in modo tale da darti la possibilità di capire esattamente come lo usa tuo figlio.

    Se ad esempio gli hai chiesto di non giocare coi videogiochi a scuola, o di non messaggiare con certi amici, grazie alla registrazione potrai sapere se ha rispettato o meno le tue regole.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI ADENSPY
    1. CERBERUS

    Pur non essendo una vera e propria app spia, Cerberus è un applicativo fantastico per il controllo del cellulare dei figli. È diverso rispetto agli altri visti poco sopra, dunque richiede un po’ di tempo per essere impostato a dovere, così da farlo funzionare come “segugio” per monitorare i tuoi ragazzi (nasce, infatti, come app antifurto).

    Al pari degli altri applicativi spia, Cerberus una volta installato opera in background, quindi è del tutto invisibile e impossibile da smascherare, anche se bisogna configurarlo selezionando l’opzione apposita.

    Cosa fa nello specifico Cerberus? Le funzioni sono moltissime, e includono ad esempio la possibilità di controllare il cellulare in remoto, dunque a distanza. Così facendo, puoi leggere le conversazioni, visionare i file e in linee generali attivare qualsiasi funzione del dispositivo. Inoltre, si tratta di un vero e proprio tracker, di conseguenza è in grado di monitorare la posizione geografica del telefono tramite il GPS integrato del cellulare. Di riflesso, Cerberus è un’ottima app per controllare la posizione del cellulare dei tuoi figli.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI CERBERUS
    1. MOBILE FENCE

    Come controllare il cellulare dei figli? Mobile Fence può darti una risposta di grande qualità, visto che integra un po’ tutte le funzioni viste in precedenza. Come suggerisce il suo stesso nome, questo applicativo spia è dotato di funzione geofencing: vuol dire che ti permette di impostare un “recinto virtuale” e di ricevere un avviso se il cellulare lo supera. Per farti un esempio concreto: sospetti che tuo figlio all’uscita dalla scuola entri in zone malfamate? Con questa funzione saprai sempre se supera i confini delle aree sicure, e potrai quindi agire di conseguenza.

    Mobile Fence può essere considerata come una delle spy app più complete in assoluto, e ha alcune funzioni progettate specificatamente per il controllo degli adolescenti e dei bimbi.

    Ti parliamo ad esempio della possibilità di limitare il loro uso dello smartphone, bloccando l’avvio delle applicazioni proibite e impedendo l’accesso ai siti web in lista nera. In secondo luogo, questo software spia è ovviamente capace di intercettare la posizione geografica del cellulare in qualsiasi momento. Infine, possiede una serie di tool di analisi che ti danno la possibilità di sapere con precisione matematica cosa fa il ragazzo con il suo telefono.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI MOBILE FENCE
    1. LOOKOUT

    Il controllo del cellulare dei figli è un’operazione che può contare su un altro protagonista di assoluta affidabilità, ovvero Lookout. Si tratta però di un applicativo più basilare rispetto agli altri visti oggi, basato essenzialmente sulla geo-localizzazione del telefonino e su una serie di funzionalità antifurto.

    Naturalmente potrai utilizzarlo per controllare il ragazzino, usando così le varie funzionalità che ti mette a disposizione. Nello specifico, facciamo riferimento alla funzione per controllare le app in uso (App Monitor). Chiaramente non è possibile metterlo a confronto con gli altri, proprio perché possiede molte limitazioni.

    Di contro, si tratta di una soluzione alternativa intelligente e funzionale, e inoltre è anche gratuita. Ad ogni modo, però, tutte le funzioni più interessanti sono disponibili soltanto a pagamento, sebbene il prezzo sia irrisorio rispetto alle altre app spia viste oggi.

    Occorre ripetere che non si tratta di uno strumento professionale, visto che non permette di registrare le telefonate o di utilizzare il microfono del cellulare come microspia ambientale. Le altre funzioni sono poco interessanti per i tuoi scopi, come l’antivirus integrato e la possibilità di fare il backup dei dati del dispositivo.

     VISITA IL SITO UFFICIALE DI LOOKOUT

    LE APP PER LIMITARE L’ACCESSO AI CONTENUTI

    Ora che sai come controllare il cellulare dei tuoi figli, compresa la posizione GPS, l’audio ambientale e i messaggi, potresti trovare interessanti altre app particolari.

    Queste ultime non possono essere sempre considerate dei veri e propri applicativi spia, in quanto spesso vengono progettate per uno scopo specifico: limitare l’accesso ai contenuti di un certo tipo sul telefonino del ragazzo. Per farla breve, gli impediscono di aprire certi siti o certe app, insieme ad altre funzionalità interessanti.

    Spazio Bimbi Parental Control: disponibile solo per Android, questa app impedisce l’accesso alle applicazioni e ai siti che hai messo in black list. Inoltre, consente di bloccare le chiamate e la ricezione dei messaggi, insieme alla possibilità di settare un timer per bloccare il funzionamento del dispositivo dopo un certo lasso di tempo.

    Kid’s Shell: si tratta di un vero e proprio scudo per proteggere la privacy dei ragazzi. Nella fattispecie, permette l’uso esclusivamente delle app approvate dai genitori, e lo stesso vale per l’accesso ai siti web. In pratica, crea una vera e propria comfort zone dalla quale il bambino non potrà uscire.

    Qustodio: questo applicativo è stato progettato per impedire come sempre l’accesso del ragazzino ai contenuti che consideri non adatti a lui. Inoltre, ti dà la possibilità di monitorare le sue attività sui social, di geolocalizzare il telefonino, di bloccare le chiamate e di controllarle. In sintesi, una vera e propria “custodia” per la loro sicurezza.

    Norton Family: la nota software house specializzata in antivirus ha realizzato una app spia ricca di moltissime funzioni interessanti. Norton Family ti permette ad esempio di controllare la messaggistica del ragazzo, la cronologia del browser (quindi i siti che visita), i social e molto altro ancora.

    KidLogger: altro giro, altra corsa, altro sistema per capire come controllare il cellulare dei figli. KidLogger ti consente di monitorare le attività del ragazzino sui social network, le applicazioni utilizzate e il tempo passato al cellulare. Purtroppo si tratta di un semplice monitor, quindi non possiede alcuna funzione per bloccare le attività sgradite o per impedire l’accesso a siti o app specifiche.

    AppLock: AppLock, al contrario, è un software che nasce appositamente per bloccare certe attività svolte dal ragazzo sul proprio telefono. Per farti alcuni esempi concreti, l’applicativo in questione ti permette di impostare un blocco d’accesso alla email, ai contenuti multimediali, al web e ai social network.

    Screen Time Parental Control: chiudiamo questa lunga lista di app per controllare il cellulare dei tuoi figli con Screen Time Parental Control. Grazie a questo programma potrai verificare per quanto tempo usa il cellulare, quali sono le app che utilizza e la cronologia del browser.

    CONTROLLO DEL CELLULARE DEI FIGLI GRATIS: È POSSIBILE?

    Alcune app molto basiche ti mettono a disposizione certe funzioni gratuitamente, ma queste ultime sono quasi inutili per il controllo del cellulare dei figli. Le applicazioni che nascono per questo scopo, infatti, sono molto più complesse e a pagamento.

    Potrai sempre approfittare di un periodo di prova gratuito per vedere se ti piacciono e come funzionano, ma alla scadenza (se vorrai continuare ad usarle) dovrai pagarle. Ti assicuriamo però che ne vale la pena, perché la sicurezza dei bambini non ha prezzo.

    CONTROLLARE IL CELLULAREFlexiSpyParental ControlWhatsApp
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    lunedì, 13 Febbraio 2023 / Published in Approfondimento

    Truffe online, revenge porn e pedopornografia: la selve del web vista dalla Postale

    Nel 2022 la Polizia Postale è stata chiamata a far fronte a continue e sempre più evolute sfide investigative sulle macro-aree di competenza, in particolare negli ambiti della prevenzione e contrasto alla pedopornografia online, della protezione delle infrastrutture critiche di rilevanza nazionale, del financial cybercrime e di quelle relative alle minacce eversivo-terroristiche, riconducibili  sia a forme di fondamentalismo religioso che a forme di estremismo politico ideologico, anche in contesti internazionali.

    Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online

    (C.N.C.P.O.)

    In uno scenario nel quale la continua evoluzione tecnologica influenza ogni azione del nostro vivere quotidiano, lo sforzo della Polizia Postale e delle Comunicazioni nell’anno 2022 è stato costantemente indirizzato alla prevenzione e al contrasto della criminalità informatica in generale, con particolare riferimento ai reati in danno di minori.

    Il Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online (C.N.C.P.O.) nel 2022 ha confermato il suo ruolo di punto di riferimento e di coordinamento nazionale dei Centri Operativi Sicurezza Cibernetica (COSC) della Polizia Postale nella lotta alla pedofilia e pornografia minorile online.

    L’analisi dei dati relativi all’anno di riferimento ha confermato la lieve diminuzione dei casi trattati già evidenziata nella rilevazione di medio termine. La flessione negativa dei dati è stata riscontrata anche in riferimento al numero delle segnalazioni provenienti da organismi internazionali attivi nella protezione dei minori in rete.  L’impegno profuso dalla Specialità si è concentrato nel reprimere episodi di particolare gravità, con l’effetto rilevabile di evidenziare un maggior numero di individui sottoposti a pene detentive.

    Nell’ambito poi delle segnalazioni relative alla pubblicazione di contenuti pedopornografici su social network, si è evidenziato un fenomeno per il quale veniva intaccata la reputazione dei vari titolari di profili social attraverso la pubblicazione di materiale scabroso di natura pedopornografica con accessi abusivi massivi a profili privati di ignari cittadini e di persone dotate di rilevanza mediatica, politica o di altra natura.

    La fine dell’emergenza sanitaria, con la progressiva ripresa delle attività nella direzione di un recupero della normalità, potrebbe aver contribuito a ridurre l’isolamento sociale, facendo rilevare nel 2022 una riduzione della circolazione globale di materiale pedopornografico su circuiti internazionali, che non ha però inciso sull’attività di contrasto. Infatti, è stato registrato un aumento dei soggetti individuati e deferiti per violazioni connesse ad abusi in danno di minori.

    In particolare, nell’ambito dell’attività di contrasto coordinata su scala nazionale dal C.N.C.P.O. sono stati trattati complessivamente 4.542 casi, che hanno consentito di indagare 1.463 soggetti, di cui 149 tratti in arresto per reati connessi alla materia degli abusi tecnomediati in danno di minori, con un aumento di persone tratte in arresto di circa il +8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

    Per quanto concerne l’attività di prevenzione svolta dal C.N.C.P.O. attraverso una continua e costante attività di monitoraggio della rete, sono stati visionati 25.696 siti, di cui 2.622 inseriti in black list e oscurati, in quanto presentavano contenuti pedopornografici.

    PEDOPORNOGRAFIA E ADESCAMENTO ONLINE20212022*Variazione percentuale
    Persone indagate1.4191.463+3%
    Siti in Black List2.5432.622+3%
    * – dati rilevati il 27/12/2022

    Adescamento online

    Nel periodo di riferimento sono stati trattati 424 casi per adescamento online: anche quest’anno la fascia dei preadolescenti (età 10-13 anni) è quella più coinvolta in interazioni sessuali tecnomediate, 229 rispetto al totale.

    Continua a preoccupare il lento incremento dei casi relativi a bambini adescati di età inferiore ai 9 anni, trend che è diventato più consistente a partire dalla pandemia. Social network e videogiochi online sono i luoghi di contatto tra minori e adulti più frequentemente teatro delle interazioni nocive, a riprova ulteriore del fatto che il rischio si concretizza con maggiore probabilità quando i bambini e i ragazzi si esprimono con spensieratezza e fiducia, nei linguaggi e nei comportamenti tipici della loro età.

    Cyberbullismo

    Si registra una leggera flessione anche dei casi di cyberbullismo che può essere interpretata come effetto della normalizzazione delle abitudini dei ragazzi: non si può escludere che il ritorno ad una vita sociale priva di restrizioni abbia avuto un’influenza positiva sulla qualità delle interazioni sociali, delle relazioni tra coetanei e che la costanza dell’opera di sensibilizzazione svolta dalla Polizia Postale, presso le strutture scolastiche, abbia mantenuto alta l’attenzione degli adulti e dei ragazzi stessi sulla necessità di agire responsabilmente e correttamente in rete.

    Nel periodo di riferimento sono stati trattati 323 casi di cyberbullismo.

    CYBERBULLISMO20212022*
    Casi trattati vittime 0-9 anni2717
    Casi trattati vittime 10-13 anni11287
    Casi trattati vittime 14-17 anni319219
    TOTALE458323
    * – dati rilevati il 27/12/2022
     20212022*
    Minori denunciati per Cyberbullismo117128
    * – dati rilevati il 27/12/2022

    Sextortion

    È un fenomeno che di solito colpisce gli adulti in modo violento e subdolo, fa leva su piccole fragilità ed esigenze personali, minacciando, nel giro di qualche click, la tranquillità delle persone.

    Recentemente le sextortion stanno interessando sempre più spesso vittime minorenni, con effetti lesivi potenziati: la vergogna che i ragazzi provano impedisce loro di chiedere aiuto ai genitori o ai coetanei di fronte ai quali si sentono colpevoli di aver ceduto e di essersi fidati di perfetti e “avvenenti” sconosciuti.

     La sensazione di sentirsi in trappola che sperimentano le vittime è amplificata spesso dalla difficoltà che hanno nel pagare le somme di denaro richieste. Nel corso dell’anno sono stati trattati 130 casi, la maggior parte dei quali nella fascia 14-17 anni, più spesso in danno di vittime maschili.

    Centro Nazionale Anticrimine per la Protezione delle Infrastrutture Critiche

    (C.N.A.I.P.I.C.)

    Nell’esercizio della propria missione istituzionale, il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni – Organo del Ministero dell’interno per la sicurezza delle telecomunicazioni garantisce, fra l’altro, ai sensi dell’art. 7 bis DL 144 del 2005 e del D.M. 15 agosto 2017 – Direttiva sul riordino dei comparti di Specialità delle Forze di Polizia – la protezione delle infrastrutture critiche informatizzate del Paese.

    Nell’attuale e particolare contesto internazionale, l’escalation delle tensioni geopolitiche connesse al conflitto in Ucraina continua ad avere significativi riverberi anche in materia di sicurezza cibernetica. Risultano, infatti, in corso campagne massive a livello internazionale dirette verso infrastrutture critiche, sistemi finanziari e aziende operanti in settori strategici quali comunicazione e difesa, tra le quali figurano campagne di phishing, diffusione di malware distruttivi (specialmente Ransomware), attacchi Ddos, campagne di disinformazione e leak di database. Inoltre, alcuni tra i più pericolosi gruppi di hacker criminali hanno deciso di schierarsi a favore della Russia, altri con l’Ucraina, prendendo di fatto parte al conflitto nel c.d. “dominio cibernetico”.

    In tal senso, come noto, il conflitto russo-ucraino ha comportato una recrudescenza nell’attività di attori ostili, connotati per l’esecuzione di attacchi ransomware – volti a paralizzare servizi e sistemi critici mediante la cifratura dei dati contenuti – campagne DDoS, volti a sabotare la funzionalità di risorse online e, soprattutto, attacchi di tipo ATP (Advanced Persistent Threat), condotti da attori ostili di elevato expertise tecnico, in grado di penetrare i sistemi più strategici mediante tecniche di social engineering o sfruttamento di vulnerabilità, al fine di garantirsi una persistenza silente all’interno dei sistemi a scopo di spionaggio o successivo danneggiamento.

    La proliferazione di gruppi ostili, si è attuata poi mediante il ricorso a crew hacker di c.d. crime as a service, ordinariamente attive nel fornire supporto tecnologico ad attori criminali ed oggi sempre più contigue a gruppi di ascendenza statuale.

    In particolare, il Servizio polizia postale ha implementato l’attività informativa e di monitoraggio ad ampio spettro, esteso anche al dark web, attivando canali di diretta interlocuzione dedicati allo scenario in atto con Europol, oltre che con Interpol e FBI, con l’obiettivo di elevare il livello di attenzione con particolare riguardo al settore economico/finanziario, tradizionalmente oggetto di interesse da parte di compagini criminali con connotazione state sponsored.

    Il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC), attraverso dedicati alert ha diffuso indicatori di compromissione e avvisi di informazione di sicurezza alle infrastrutture informatiche dicasteriali, alle infrastrutture critiche nazionali e ai potenziali target di azioni ostili, individuati attraverso la permanente attività informativa assicurata dal Centro.

    I Centri Operativi per la Sicurezza Cibernetica della Polizia Postale hanno svolto adeguati servizi di monitoraggio e analisi, condividendo ogni evidenza utile in relazione al quadro internazionale in parola.

    L’attività del CNAIPIC del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, oltre agli approfondimenti investigativi, si è tradotta nell’analisi tecnica della minaccia, volta all’elaborazione di informazioni di sicurezza preventiva, nonché nel supporto operativo alle infrastrutture attaccate, che hanno contribuito al ritorno alla piena operatività dei sistemi informatici colpiti.

    Attacchi infrastrutture critiche ad istituzioni, aziende e privati20212022*Variazione percentuale
    Attacchi rilevati5.43412.947+138%
    Persone indagate187332+78%
    Alert diramati110.524113.226+2%
    Richieste di cooperazione HTC6077+28%
    * – dati rilevati il 27/12/2022

    SEZIONE OPERATIVA

    Nell’ambito delle competenze della Polizia Postale si segnala il rafforzamento dell’attività di prevenzione attraverso il monitoraggio attivo della rete e un’articolata attività di contrasto alle truffe online con 3541 persone deferite all’Autorità Giudiziaria, in particolare nel settore dell’e-commerce e market place.

    Truffe OnLine20212022*Variazione percentuale
    Casi trattati15.08315.508+3%
    Persone indagate3.4033.541+4%
    Somme sottratte€ 73.245.740€ 115.457.921+58%
    * – dati rilevati il 27/12/2022

    Nell’ambito delle truffe sul web anche nel corso del 2022, importante l’incremento degli illeciti legati al fenomeno del trading online (3.020 i casi trattati, 130 le persone), con l’aumento del numero di portali che propongono programmi speculativi, apparentemente redditizi, e l’utilizzo di tecniche molto sofisticate per contattare le vittime. L’attività investigativa, qualora la denuncia sia tempestiva, prevede l’immediata attivazione dei canali di Cooperazione Internazionale di Polizia, con la richiesta del blocco urgente delle somme versate e l’espletamento di accertamenti sui flussi finanziari normalmente destinati all’estero.

    Proprio per dare maggior impulso alle indagini che vedono coinvolti cittadini stranieri, la Sezione Operativa della Polizia Postale, nel corso dell’anno 2022, ha attivato 260 richieste di cooperazione internazionale attraverso il canale Europol che, in più di un’occasione, si sono rivelate determinanti per l’individuazione degli autori dei reati investigati.

    Particolare attenzione è rivolta inoltre ai fenomeni del revenge porn, con 244 casi trattati (di cui 34 in danno di minori) e 71 persone denunciatee delletruffe romantiche, con 442 casi trattati (di cui 4 in danno di minori) e 103 persone denunciate, spesso sommersi in quanto caratterizzati da un forte coinvolgimento emotivo che induce la vittima a non denunciare.

    Sono stati 15 i casi di Codice Rosso che hanno visto la Polizia Postale impegnata attivamente nel contrasto dei reati contro la persona commessi attraverso la rete.

    Reati contro la personaperpetrati OnLine120212022*
    Casi trattati10.2979.278
    Persone indagate1.6931.167
    1 – Stalking / diffamazione online / minacce / revenge porn /molestie / sextortion / illecito trattamento dei dati /sostituzione di persona / hate speech / propositi suicidari* – dati rilevati il 27/12/2022

    Specifiche iniziative sono state rivolte all’attività di prevenzione e contrasto al fenomeno degli atti intimidatori nei confronti della categoria dei giornalisti e servizi di monitoraggio dei canali di diffusione, costituiti da siti web, piattaforme di digitali, profili e pagine presenti sui social network più noti (Facebook, Twitter, Instagram, Telegram, Pinterest e Youtube), finalizzati ad arginare la diffusione del linguaggio d’odio (hate speech).

    La Sezione Operativa è stata impegnata anche nell’individuazione di proposte di vendita online di prodotti contraffatti o all’utilizzo illecito di segni distintivi dei marchi registrati, per la tutela del c.d. italian sounding.

    Il monitoraggio di siti e spazi web (blog, gruppi social e siti dedicati) dediti a giochi e scommesse clandestine è un’altra attività operativa particolarmente seguita dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, sia per contrastare la diffusione irregolare o illegale, che per tutelare gli interessi dei consumatori, specie se minori d’età: numerosi sono i siti con sedi legali presso paesi esteri, che operano in Italia anche se privi della prevista autorizzazione per poter esercitare legalmente la raccolta di scommesse.

    Nel corso del 2022 sono state implementate anche le attività di monitoraggio relative alla vendita online di tabacchi, sigarette elettroniche e liquidi da inalazione in rete, su siti sprovvisti delle relative autorizzazioni da parte dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli.

    In ultimo, ma comunque di primaria importanza, è stata l’attività rivolta all’individuazione di quelle persone che, sfruttando principalmente la cassa di risonanza che i social media offrono, hanno manifestato intenti suicidari in conseguenza dei quali sono state attivate tutte le procedure necessarie per la salvaguardia delle persone coinvolte con l’ausilio degli uffici di polizia competenti territorialmente (64 le segnalazioni veicolate attraverso il Commissariato di P.S. OnLine e 51 gli interventi eseguiti sul territorio dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni ).

    CYBERTERRORISMO

    Nel corso degli ultimi anni, il continuo e vertiginoso incremento dell’utilizzo delle piattaforme di comunicazione online, social network e di applicazioni di messaggistica istantanea, ha determinato un’allarmante diffusione di contenuti propagandistici riconducibili al terrorismo, ad una platea pressoché illimitata, sia di matrice islamista (jihadista, ISIS, Al Qaeda, Al Shabaab ed altre articolazioni locali), sia di formazioni suprematiste di estrema destra (neonazismo, neofascismo, tifoserie strutturate), nonché di estrema sinistra (movimenti di lotta armata, anarco/insurrezionalisti, antagonisti).

    Cyberterrorismo120212022*
    Casi trattati1.3211.193
    Persone indagate8066
    Spazi virtuali monitorati126.998173.306
    1– Estremismo internazionale religioso / estremismo razziale, antagonista ed anarchico* – dati rilevati il 27/12/2022

    In tale ambito, la Polizia Postale garantisce sia l’esecuzione di una costante attività di monitoraggio investigativo della rete e dei canali di messaggistica istantanea, per l’identificazione e il deferimento all’Autorità Giudiziaria dei responsabili della diffusione dei contenuti illeciti, sia un costante scambio informativo con la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione competente in materia di contrasto al terrorismo.

    Trattandosi, in particolare, di un fenomeno di carattere transnazionale, sia per la natura internazionale del fenomeno che per la stessa connaturata struttura della rete, risulta imprescindibile l’attivazione efficiente degli strumenti della cooperazione sovranazionale, soprattutto per la condivisione di informazioni che, collegate a situazioni peculiari interne, riescono ad apportare un indiscusso valore aggiunto alle attività di prevenzione messe in atto dalle diverse forze di polizia nazionali.

    In ambito europeo, proprio al fine di garantire la cooperazione internazionale, il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni rappresenta il punto di contatto nazionale dell’Internet Referral Unit (IRU) di Europol, Unità preposta a ricevere dai Paesi Membri le segnalazioni relative ai contenuti terroristici diffusi in rete e di orientarne l’attività.

    Adescamento onlineC.N.C.P.O.COSCCyberbullismopedopornografiarevenge porn
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    Il Provocapensieri
    giovedì, 25 Novembre 2021 / Published in Approfondimento

    Sharenting e cyberbullismo: come evitare che le immagini dei tuoi figli alimentino il bullismo

    Nell’epoca dell’iperconnessione digitale è difficile – se non impossibile – restare impassibili dinnanzi alla rivoluzione tecnologica che ha travolto la quotidianità di adulti, giovani e bambini. Dispositivi mobile, social network e web hanno rivoluzionato il modo di proporre e fruire i contenuti rispetto ai media tradizionali, ridefinendo il ruolo dell’utente che non è più un semplice spettatore ma è diventato un attore protagonista capace di interagire e partecipare alla loro stessa creazione. Questa ennesima rivoluzione ha però innescato una pericolosa sovraesposizione mediatica che merita di essere approfondita: essere connessi 24 ore al giorno per 7 giorni su 7 può avere anche degli effetti collaterali negativi, soprattutto su adolescenti e bambini. Infatti, l’utilizzo di smartphone e di tutti i dispositivi mobile senza limitazioni ha portato alla nascita di alcuni pericolosi fenomeni come lo sharenting, il cyberbullismo, il sexting o il revenge porn. Durante la pandemia e il lockdown è stato registrato un incremento del tempo di utilizzo di tutti i dispositivi mobili/strumenti digitali che è coinciso con un aumento di questi pericolosi fenomeni. Per genitori, insegnanti ed educatori è diventato prioritario intervenire tempestivamente per sostenere gli adolescenti e, in generale, i più piccoli che rischiano di diventare vittime inconsapevoli di queste minacce perpetrate attraverso la Rete.

    Cosa è lo sharenting e perché andrebbe evitato

    Tra tutti questi pericoli, un fenomeno merita di essere approfondito: si tratta dello sharenting. Meno conosciuto rispetto ai sopracitati cyberbullismo, sexting e revenge porn ma altrettanto pericoloso, si tratta di un fenomeno in grande crescita. Sharenting è un neologismo inglese che nasce dalla fusione dei termini sharing (condivisione) e parenting (genitorialità) e fa riferimento alla condivisione in Rete o attraverso le piattaforme social di contenuti riguardanti i propri figli da parte degli stessi genitori.

    Fin qui sembrerebbe tutto normale o quasi: che c’è di male a condividere sulla bacheca di Facebook qualche immagine del proprio bambino o un breve video su WhatsApp del compleanno della propria figlia? Lo sharenting viene utilizzato dagli esperti per descrivere certi comportamenti al limite del morboso tenuti da alcuni genitori (c’è anche la variante grand-sharenting che riguarda i nonni) che si divertono a condividere foto, video e qualsiasi aspetto della vita dei propri figli/figlie sui canali social alla ricerca di un po’ di visibilità e di follower. I dispositivi mobile e, più in generale la tecnologia digitale, sembrano incoraggiare questo fenomeno nell’era della “vetrinizzazione sociale”. Non c’è molta differenza tra mamme e papà: questo fenomeno di carattere narcisista sembra colpire in modo indiscriminato tutti e due i sessi e non fa sconti a nessuno. Ricordi intimi e momenti speciali vengono così sacrificati sull’altare di una condivisione senza alcun freno e filtro alla ricerca dell’ennesimo Like o di qualche nuovo follower da aggiungere alla propria lista. Un comportamento irresponsabile che può innescare altri pericolosi fenomeni come, per esempio, quello del cyberbullismo.

    I genitori narcisisti, una categoria in grande crescita

    Caro genitore ti sei mai chiesto dove vanno a finire le foto e i video che condividi ogni giorno nelle chat di WhatsApp o nella bacheca di Facebook? I tuoi bambini (anche quelli più grandicelli) fanno fatica a comprendere che cosa sia un’identità digitale. Tu, invece, dovresti sapere che cosa significa e capire che condividere le loro emozioni/ricordi attraverso foto, audio o video a perfetti sconosciuti è un comportamento irresponsabile. Non dimenticare, mai, che qualsiasi cosa pubblichi in Rete, purtroppo, resterà in Rete. Forse avrai già sperimentato quanto sia difficile far sparire le foto della tua bambina di 4 anni che fa i castelli di sabbia al mare dalle bacheche di Facebook o Instagram. Forse non lo sai o non te ne sei mai accorto ma le immagini che ti diverti a condividere con la tua cerchia di fedelissimi follower, spesso, finiscono in siti pedopornografici o vengono scambiate in altri particolari social network da malintenzionati. Perché caro genitore, le foto e i video che condividi nascondono “preziose informazioni” sulle abitudini tue e della tua famiglia e possono essere usate da cyber criminali/predatori per scopi criminosi. Attraverso i metadati –informazioni aggiuntive incluse nel file – i malintenzionati possono ricavare preziose informazioni come la posizione geografica, la data e l’ora in cui è stata scattata la foto e capire per esempio qual è il tuo abituale percorso casa/lavoro e persino risalire al tuo indirizzo di casa e altro ancora. Non ti stupirà sapere che negli Stati Uniti più del 90% dei bambini di età inferiore ai 2 anni ha già una propria identità digitale, mentre in Gran Bretagna molti bambini dispongono di interi set fotografici pubblicati online prima ancora di aver compiuto i cinque anni d’età. Uno studio commissionato da alcune università italiane ha poi rivelato che due adolescenti su cinque non sanno di avere un profilo/account visibile a chiunque. E soprattutto hanno il terrore di scoprire quello che hanno pubblicato i loro genitori sui social network fin dalla loro tenera età. La mancanza di una barriera o di un filtro tra sfera pubblica e privata può rivelarsi qualcosa di sconvolgente per gli adolescenti: lo “sharenting” per loro può rivelarsi un’esperienza a dir poco traumatizzante.

    Lo sharenting può innescare il cyberbullismo

    La sovraesposizione mediatica a cui sottoponi in modo inconsapevole i tuoi bambini potrebbe avere delle pesanti ripercussioni sulla loro crescita: prima di pubblicare qualsiasi contenuto che riguardi la tua prole, dovresti chiedere il loro permesso. È importante creare un dialogo aperto e sincero con i tuoi figli e stabilire le cosiddette regole di ingaggio: per esempio, quale tipo di post/contenuto puoi condividere e con chi. Come ti ho spiegato in precedenza, la condivisione sul web e sulle piattaforme social di una foto o di un breve video può sfuggire facilmente al tuo controllo: oltre a diventare materiale pedopornografico, può essere usato come esca per adescare altri adolescenti in Rete (il fenomeno del “grooming” è in forte crescita) e persino dai cyberbulli per prendere in giro i tuoi ragazzi/ragazze. Infatti, uno degli aspetti che i genitori tendono a sottovalutare maggiormente è la web reputation: foto e video di un certo tipo potrebbero creare un certo imbarazzo ai tuoi figli con i loro compagni di scuola e coetanei, oltre a creare qualche problema in futuro quando cercheranno lavoro. Il fenomeno del cyberbullismo è strettamente correlato a quello dello sharenting: infatti, sfruttando l’anonimato garantito dalla Rete, i cyberbulli dopo essere entrati in possesso delle foto o dei video che hai pubblicato per anni attraverso i social network possono divertirsi a prendere in giro i tuoi figli, tormentandoli con commenti cattivi, messaggi e chiamate imbarazzati oppure manipolando i contenuti che hanno postato o pubblicando delle informazioni false su di loro e altro ancora. L’anonimato della Rete garantisce al cyberbullo una certa sicurezza e protezione e può spingerlo a comportamenti ancor più aggressivi e violenti, che possono provocare nelle vittime un trauma profondo e tanta sofferenza. Il cyberbullismo è tutto questo e molto di più.

    Come limitare il rischio di cyberbullismo

    Non c’è nulla di sbagliato nel voler condividere con i propri amici e parenti qualche scatto della propria vita famigliare, ma bisogna farlo con grande attenzione. La prima regola da seguire è piuttosto semplice: ogni genitore dovrebbe utilizzare i social network e il web con maggiore consapevolezza e, soprattutto, prestare attenzione alla privacy e al trattamento dei dati personali dei siti/servizi che vengono utilizzati. Oltre a conoscere le varie policy, un genitore dovrebbe evitare di condividere pubblicamente troppe informazioni sulla propria famiglia. Per esempio, evita di inserire il nome completo dei tuoi figli nei post che pubblichi ed altre preziose informazioni (dove abiti o quante persone compongono il tuo nucleo famigliare); non condividere mai la posizione geografica e la data negli scatti che posti; da evitare assolutamente gli scatti troppo personali/intimi. Quando decidi di pubblicare qualcosa sui tuoi figli pensaci non una ma dieci volte: i tuoi bambini, infatti, non possono dire no a quello che stai facendo. Pubblicare una foto dei tuoi figli in una certa posa o con un determinato abbigliamento può essere pericoloso: ricordati che il cyberbullismo può avere un grave impatto sulla loro salute mentale e sul loro futuro. Per frenare lo sharenting e fugare ogni possibile rischio di cyberbullismo, la strada è una sola: la prevenzione. Adulti e giovani devono essere sensibilizzati a un utilizzo consapevole gli strumenti tecnologici che hanno a disposizione e al rispetto delle regole della convivenza civile: solo in questo modo si potranno contrastare e debellare queste piaghe sociali.

    Non dimenticare, infine, che oltre ai rischi citati, pubblicando immagini senza consenso dei tuoi figli rischi di minare il rapporto di fiducia che hai con loro. Soprattutto quando diventano adolescenti, chiedi sempre loro se desiderano che scatti e video fatti insieme siano pubblicati, e rispetta la loro opinione. Anche perché potresti rischiare di trovarti di fronte a un giudice nell’aula di tribunale, come è successo a una mamma mantovana nel 2017, e a tanti altri genitori in tutto il mondo.


    Autore

    Gianluigi Bonanomi è un giornalista hi-tech e formatore sulla comunicazione digitale. Dopo la laurea con tesi sulle relazioni on-line nel 2001, ha lavorato per una dozzina d’anni nel settore dell’editoria informatica (soprattutto per Computer Idea). Ha scritto diversi saggi e manuali sulla tecnologia, compresi due libri per genitori: “Navigazione familiare” e “Prontuario per genitori di nativi digitali”. Ha lanciato il primo podcast italiano su genitorialità e tecnologia. Attualmente si occupa di formazione sui temi del digitale. Sito Web: www.gianluigibonanomi.com

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